Ara sa terra, massaju, ca est ora de arare...



sabato 17 dicembre 2011

Al di la del petrolio




Faccio spesso fatica a trovare libri degni di nota nella vasta letteratura su ambiente ed energia. Per lungo tempo sono stato (e in parto lo sono tuttora) accanito lettore del filone che definirei apocallito-cospiratore. La premessa in questo genere e' che il pianeta sia ormai sull' orlo del collasso totale (spesso a causa di oscure forze che tramano nell' ombra). Benche' i problemi sollevati siano reali e cruciali, uno dei limiti di simile letteratura e' la tendenza a piegare i dati per dimostrare di avere ragione, con una attitudine che definirei religiosa. Questa visione escatologica a me e' sempre piaciuta a priori, in parte per la falsa presunzione di essere uno di quelli capaci di salvarsi e prosperare. Confesso pero' che un simile approccio non aiuta la causa ambientalista.

Nella mia ricerca di fonti attendibili e di un approccio all' ambientalismo piu' razionale e scientifico, ho finito per imbattermi nella produzione giornalistica e divulgativa di Leonardo Maugeri, top manager di Eni. Anni fa' iniziai a leggere il suo libro "The Age of Oil: The Mythology, History, and Future of the World's Most Controversial Resource"  con un iniziale scetticismo, causato dalla biografia professionale di Maugeri ("come puo' un uomo che lavora per una multinazionale essere attendibile!?") . Scoprii poi che i dati presentati, la bibliografia e l' impostazione del libro risultavano molto piu' solidi di molti scritti sul picco del petrolio e affini.

Nel suo ultimo libro "Beyond the Age of Oil: The Myths, Realities, and Future of Fossil Fuels and Their Alternatives" Maugeri offre una panoramica completa su tutta le fonti energetiche attualmente disponibili, la loro rilevanza sulla produzione presente e futura e il loro impatto ambientale. Ogni capitolo descrive in modo esaustivo una diversa fonte di energia, con tabelle, stime e una bibliografia soddisfacente. Si parte da petrolio, carbone e gas naturale, per poi coprire nucleare, biomasse, vento, solare e geotermico. La parte finale descrive possibili alternative energetiche e il ruolo dell' efficienza energetica. Molti dei dati presentati possono apparire ovvi per una persona esperta del problema energetici. Il libro pero' ha il pregio di offire un quadro generale partendo dal presupposto che, prima o poi, dovremmo andare oltre un paradigma energetico come quello attuale basato su petrolio e carbone. Questa esigenza nasce non dall' idea (scientificamente da provare) che il petrolio sta per finire ma dalla chiara evidenza dei danni ambientali che il presente uso di carburanti fossili sta causando. Il libro non lascia molti spazi a proclami di ottimismo e descrive un quadro generale molto serio. L' autore offre comunque una possibile speranza futura che viene dalla ricerca scientifica e da opportune decisioni politiche (per esempio tasse sulle emissioni di carbonio).

La mia limitata esperienza personale mi porta a dire che la sola scienza non potra' risolvere il problema e, mai come ora, la comunita' scientifica avrebbe bisogno di una maggiore coesione e criteri guida provenienti dall' econonomia e dalla politica. La mia impressione e' che molte risorse siano ora impiegate su progetti che non avranno nessuna speranza di contribuire alla risoluzione del problema. Molti progetti finanziati vanno anche bene per pubblicare su una rivista scientifica, ma hanno poca rilevanza in termini concreti. Fare scienza puo' essere un' attivita' che porta ricchezza intelletuale, ma se il punto ora e' affrontare il problema energetico, penso che ci sia ampio spazio per conciliare meglio "sete di conoscenza" e la ricerca di soluzioni pratiche.



mercoledì 14 dicembre 2011

Un giorno triste



In viaggio da una settimana, non mi sono curato di aprire i giornali per diversi giorni.

Immerso ora in mezzo ai colori, odori e suoni dell' oriente, mi ero svegliato questa mattina con un pensiero allegro nella testa. Pensavo alla bellezza dell' incontro di gente diversa, all' energia che nasce quando popoli si conoscono  e rinascono insieme come entita' nuove.  Pensavo ancora ad un futuro di mescolanze.

Poi ho fatto l' errore di aprire i giornali italiani. Un assalto di gruppo ad un campo Rom, per vendicare la verginita' di una ragazza (pensavo fosse Kabul e invece era Torino). Un fascista uccide due negozianti Senegalesi in pieno centro a Firenze. E molti Italiani sono ancora disposti a trovare scusanti e  giustificazioni. Non si tratta di follia. E' semplicemente l' Italia, o una sua parte non marginale. Non so cosa prevalga ora, se sia di piu' la rabbia,  il disgusto o la paura per il futuro.  So solo che se una nazione dimentica l' accoglienza e non sa quanto preziose siano le energie che i migranti portano, si merita allora un futuro di oblio, isolamento e grigiore.

Il mio cuore sta ora a San Lorenzo. Io sono uno di quelli che parte, va lontano e vorrebbe sempre trovare accoglienza. Io sono uno dei Senegalesi uccisi.




venerdì 2 dicembre 2011

Di banditi, Indiani e occasioni perse


Il Maestro Vittorio de Seta e' morto giorni fa (il 28 Novembre) all' eta' di ottantasette anni. Ci si ricorda spesso degli artisti nel giorno del loro funerale  e negli epitaffi ci si lamenta magari dell' oblio a cui sono stati condannati negli ultimi anni della loro vita.  Ovviamente a de Seta non e' stata risparmiata questa rettorica.
Non ho visto tutte le sue opere, ma il suo capolavoro "Banditi ad Orgosolo" rimane uno dei miei film preferiti di sempre. Lo avevo riguardato mesi fa', spinto da un fatto di vita quotidiana che poco c'entra con la Sardegna. Mentre viaggiavo in auto mi capito' di passare in una riserva Indiana, di quelle che ora sopravvivono grazie al gioco d' azzardo e ai negozi di amuleti, unica vestigia della loro storia passata. Rimane infatti poco di cio' che fu la Nazione Indiana, della loro immensa cultura naturalistica, cucina, religione, relazioni sociali. Un senso di profonda tristezza mi assale ogni volta che vedo uno di quei cartelli dell' amministrazione federale, che ricorda che li' c'era stata una tribu'. Tornato a casa, per un ovvio riflesso psicologico, ho pensato che riguardare il film di de Seta fosse il giusto omaggio per tutte le tribu' scomparse.
Non per la trama, ma per l' atmosfera che ogni scena e immagine sa trasmettere. Mentre guardo il film quasi percepisco l' odore della macchia, del fumo di legna bagnata,  sento quasi come reali i silenzi di quegli spazi aperti e primitivi che solo in Sardegna ho trovato. Potere di un uso magistrale della camera da presa e di un senso profondo di nostalgia. Nostalgia per qualcosa che forse non ho mai conosciuto, un' immagine di costumi ancestrali che, nel bene e nel male, non esistono piu', spazzati via dalla modernita' senza  poi la Sardegna  diventare totalmente moderna.
Il mio non e' un rimpianto reazionario per i tempi in cui si era "poveri ma puri e belli", di pasoliniana memoria. E' un sentimento di occasione persa, che viene da una persona che ha speso tutta la sua vita da adulto fuori dalla Sardegna  osservandone dall' esterno i cambiamenti avvenuti in soli quindici anni, quando ormai la storia aveva gia' fatto il suo corso. Mi chiedo pero' cosa sia rimasto intatto, cosa si possa riusare senza cadere nella trappola del folklore da cartolina o  della visione idealizzata della tradizione. Mi interrogo se abbia ancora senso pensare alla Sardegna come un posto unico e non sia invece il caso di abbandonare ogni resistenza,  piegandosi al corso della storia. Diventare semplicemente un' isola, un pezzo di terra in mezzo al mare, senza tante storie e orpelli intorno. Ma forse questi sono vani interrogativi, soprattutto da chi non ha avuto l' occasione (o il coraggio) di restare e provare a capire cio' che rimane...